Pemio Nazionale di Poesia e Narrativa dedicato alla Bicicletta e al suo mondo

Da Felice Gimondi a Il Bicicletterario: l'augurio di un campione intramontabile

E' quasi imbarazzante dover scrivere qualcosa su un campionissimo di sempre, uno dei più grandi ciclisti sportivi che abbiano mai poggiato i piedi sui pedali. E' disarmante realizzare che nulla si potrebbe aggiungere alla sua fama, alle sue vittorie, ai milioni di parole spese in suo onore, per raccontarne le gesta, di sportivo e di uomo. Ci si sente inadeguati, insufficienti, poveri.
E allora non rimane che affidarsi ai ricordi e alle emozioni che sono indelebilmente legati alla sua figura, di uomo 'qualunque', 'normale' (nell'accezione 'democratica' di questi termini), asceso agli onori più alti delle cronache sportive di tutto il mondo e di tutti i tempi, anche venendo da un Paese, l'Italia, che ha dato i natali a Gino Bartali e Fausto Coppi. Anche ritrovandosi contemporaneo di quel 'Cannibale' che al secolo si presenta come Eddie Merckx.

Per molti di noi, è stato - e resta - un mito, un eroe quasi soprannaturale, ci riporta anima e corpo a quando la tv, in quei giorni, era sempre sintonizzata sul Giro d'Italia ed il suo nome risuonava tra le pareti domestiche come l'annuncio di un sogno in procinto di avverarsi. Quando i cronisti lo nominavano, manco si restava più a guardare il Giro: ci si fiondava giù per le scale - a rischio di sfracellarsi - per raggiungere la bici poggiata al muretto sotto casa, arrendendosi all'impulso irrefrenabile di salirci sopra e sprintare da fermi verso traguardi immaginari.

Felice Gimondi durante una gara - Foto tratta da Il Post
Eppure era - ed è - così 'terreno', così vicino, con quel suo volto sorridente e familiare, con il suo garbo, con la sua eleganza che rende nostalgici di tempi eroici - in tutto.
Salivamo in sella alle nostre bici con le ruote da 20", senza cambio, un po' rattoppate e molto cigolanti, e ci arrampicavamo per salite disumane, in piedi sui pedali, zigzagando per rendere meno ripida la pendenza; ci sfidavamo evocando le sue imprese, illudendoci di essere in groppa ad un destriero come il suo, immaginando di apparire curvi sul manubrio -  in preda allo sforzo dello  scollinamento tortuoso - agli occhi di folle esultanti, assiepate ai bordi della strada. E colorate, anche se qualcuno di noi i colori se li doveva inventare, perché le immagini che uscivano dal tubo catodico erano in biancoenero.

E sognando che quella voce urlante del cronista (che, in un raptus di felicità, ripeteva il suo nome mettendoci subito dietro le parole 'Maglia Rosa') potesse, lì - alla fine della salita, in mezzo alla piazzetta del bar con il flipper e il biliardino, disegnata tra il campanile della chiesetta del duecento, il belvedere sul golfo, e le imponenti azzurre montagne alle spalle - pronunciare il nostro nome. 
Il ciclismo era un sogno. Che potevamo rendere realtà semplicemente pedalando, tra sudore e brezza, e poi il vento della discesa da incoscienti, quando alle volte bisognava mettere il piede sulle ganasce dei freni per evitare la catastrofe, ché il filo s'era spezzato da quel dì.

Gli abbiamo stretto la mano, a Gaiole in Chianti, Eroica 2017, per fargli gli auguri di compleanno, festeggiato un giorno prima di incontrarlo. Senza dirgli altro, senza  complimenti o cose del genere, troppo ovvie per venire in mente quando si stringe la mano a uno che è stato un tuo mito. Come a uno di famiglia.

Per ognuno di noi Felice Gimondi è qualcosa di diverso, forse - anzi: molto probabilmente. Ma è certo che anche in lui, come in pochi altri, si è incarnato il Ciclismo con la maiuscola. E quando quello spirito scende su qualcuno, non lo lascia più.

A L'Eroica 2017 - foto: Guido Rubino
E' perciò un onore, un motivo di immensa felicità, di emozione indescrivibile, ricevere proprio da lui: da Gimondi, Felice Gimondi, l'eroe di quelle infanzie, le parole che qui condividiamo, dedicate a un sogno, a un'avventura, a una storia di biciclette. E la bici, che di questo fantasticare è l'indiscussa protagonista, ha sempre due ruote e due pedali, nonostante il progresso, la tecnologia. Se ne infischia elegantemente - in fondo - del progresso, pur concedendogli di metterla al passo coi tempi. La bici è sempre la stessa. Con ruote da 20" o con il telaio iperleggero.

Sono per voi e per noi, queste parole: partecipanti, seguaci, benefattori e organizzatori de Il Bicicletterario; ma anche per tutti coloro nei quali è sceso un po' dello spirito della bicicletta, in qualunque modo o misura, ovunque nel mondo: sarebbe un'eresia non renderne partecipe quest'umanità pedalante... 



Foto: Corriere della Sera - Bergamo
Cari lettori e cari amici,

sono davvero onorato di poter porgere questo sentito saluto a voi tutti e in modo particolare agli organizzatori de Il Bicicletterario, unico premio letterario al mondo che riguarda la mia amata bicicletta.

Credo che ciò che ci lega e ci legherà sempre è proprio lei …la bicicletta! Con lei oltre cinquant'anni fa sono partito, ancora ragazzo, da un piccolissimo paese di montagna, in provincia di Bergamo, e grazie a lei ho girato e scoperto il mondo: molte volte mi ha fatto soffrire ma altrettante mi ha fatto sognare e gioire.

Fin da bambino ho sognato in sella alla mia bicicletta e gran parte di quei sogni sono riuscito a realizzarli.

Quindi …il mio più grande incoraggiamento a tutti voi che scrivete per lei e di lei: che sia una grande spinta per farvi sempre inseguire i vostri sogni, metaforicamente in sella a una bicicletta, proprio come ho fatto io. Se ci credete veramente, vi porterà davvero molto lontano.

Un grande in bocca al lupo a Giovanni Caruso nonché a tutti i componenti del Co.S.Mo.S., che con il loro impegno e soprattutto con il loro entusiasmo hanno dato vita a Il Bicicletterario!

A presto!

                                                                                                             Felice Gimondi

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