Un'ora dopo dall'apertura de IL BICICLETTERARIO IN FESTA, e cioè quando scoccheranno le ore 11.00 di sabato 14 maggio 2016, nell'Arena Mallozzi di Scauri, sotto la suggestiva tensostruttura allestita per l'occasione, saranno la fantasia e l'immaginazione ad essere le protagoniste di un interessantissimo incontro con Massimo Gerardo Carrese: fantasiologo, inventore di giochi e di percorsi interdisciplinari, saggista, musicista, fondatore del “Panassurdismo”, poeta onomaturgo e ludorimico, conduce sul tema della fantasia (facoltà del possibile) e dell’immaginazione (facoltà dell’azione) cicli di conferenze, formazione, lezioni in ambito universitario, scolastico e sociale sul territorio nazionale ed estero. Oltre ad essere tutto questo e altro, è anche uno degli autorevoli giurati de Il Bicicletterario edizione 2016.
Non ama concedere interviste: ci risulta infatti che l'ultima rilasciata risalga al 2007. Ha però accettato di farlo per noi de Il Bicicletterario, e questo ci rende orgogliosi oltre che onorati. Una piacevole conversazione, che ci consente di entrare in questo mondo - quello della fantasia e dell'immaginazione - che, in fondo ci appartiene in modo naturale ma spesso dimenticato.
Fantasiologia: che
cos’è?
Un percorso interdisciplinare interessato
alle storie e caratteristiche della fantasia e dell’immaginazione nel vivere
quotidiano, nella dimensione irreale e nelle discipline umanistiche,
scientifiche, ludiche e artistiche. Si rivolge a tutti: curiosi, docenti,
studenti, bambini, giovani, anziani. Per quanto insolito possa sembrare, la
fantasia, l’immaginazione, la creatività si studiano, e da tempo: a esse si
sono dedicati Platone, Aristotele, Dante, Antonio Ludovico Muratori e, più
recentemente, Edmund Husserl, Bruno Munari, Italo Calvino, Gianni Rodari, per
citare alcuni nomi. Filosofi, artisti e letterati ma anche psicologi, scienziati…e
non solo uomini: in passato erano
principalmente loro ad accedere agli studi ma la fantasiologia è anche donna e
non solo un genere femminile nella forma grammaticale. Ai tempi, senza tuttavia
escludere casi contemporanei, si credeva che fossero soprattutto gli uomini a
possedere le qualità associate ora all’immaginazione ora alla fantasia. Le donne,
spesso tra pregiudizi e ostacoli, hanno svolto e svolgono un ruolo decisivo
nella storia dell’umanità, in vari ambiti e discipline e molti sarebbero i nomi
da citare: Elefantide, Nadia Campana, Rosalind Franklin, Nina
Simone, Elena Cattaneo, Tina Modotti, Melanie Klein, per esempio. Gli studi,
giochi e ricerche condotti dalle donne, al pari di quelli degli uomini, contribuiscono
a sviluppare l’inimmaginabilità,
intesa soprattutto come la straordinarietà di un evento possibile. Il doverlo ricordare,
ancora, oltre a raccontarci qualcosa sull’uguaglianza dei generi ci rivela aspetti
del nostro immaginario collettivo. La fantasiologia si occupa anche
di questioni sociali, del modo in cui le opinioni precostituite si scontrano
con l’esperienza e la conoscenza diretta. Non è una disciplina nel senso tradizionale del termine piuttosto
un modo di esplorare le due facoltà: fantasia e immaginazione (la creatività è per me un’abilità ma tralascio di
approfondirla in questa intervista). Per quanto mi riguarda, cerco di procedere
nell’esplorazione con dimostrazioni pratiche, esercizi, riflessioni,
riferimenti bibliografici, analisi e organizzazione dati provenienti da
ricerche sul campo, allo scopo di dare un riscontro alle mie idee e a quelle
degli altri. Non disdegno gli aspetti legati al vissuto, cioè a esperienze non sempre
traducibili in dati ma preferisco discutere soprattutto con evidenze alla mano
e con esempi pratici per capire come agiscono la fantasia e l’immaginazione e
in quali modi condizionano l’individuo e la collettività. Tra i tanti ambiti che
la fantasiologia coinvolge, mi piace approfondire i temi della fantasia e
dell'immaginazione legati alla Linguistica (studio
del Linguaggio e della Lingua umana) e ai Giochi di parole (importanza scientifica e ricreativa del
Gioco; possibilità ludiche, percettive e potenziali della Parola).
Qual è la
differenza per te tra ‘fantasia’ e ‘immaginazione’?
È difficile spiegarlo in breve e solo
a parole perché la fantasia e l’immaginazione si praticano, soprattutto. A
grandi linee. L’immaginazione è la facoltà dell’azione, essa mette in movimento (in azione) le immagini
che conserviamo nella nostra memoria e tali movimenti attivano relazioni vicine
o lontane dallo stimolo di partenza. Relazioni logiche o bizzarre, dipende dal
nostro progetto o grado di spensieratezza. L’immaginazione si accende da
un’immagine, anche mentale cioè non proveniente necessariamente da uno stimolo
esterno immediato. Così, un’immagine (che cosa sia un’immagine ancora oggi non
è chiaro) entra in contatto con altre immagini che si collegano ad altre
immagini e così via: l’azione, e la durata dell’azione,
sono determinate dalla nostra curiosità, conoscenza e cultura di
appartenenza. Ogni immagine è percepita dall’individuo in modo diverso: si vede
con il cervello, non con gli occhi. La fantasia, invece, anziché muoversi per azione
tra le immagini cerca dentro l’immagine, guarda nell’immagine, e lo fa per
trovare in essa una possibilità, un’ipotesi, un potenziale. La fantasia è la facoltà del possibile,
nel senso di intuizione (in-dentro e tuèri-guardare): le immagini (ogni singola
immagine) della mente sono aperte per guardarci dentro, per ri-cercare al loro
interno il potenziale. Quello che troviamo (si trova sempre qualcosa!) dipende
solo da noi. Le immagini possono essere aperte in modo logico o illogico e, come
per l’immaginazione, si correlano in base al
nostro vissuto, conoscenza, cultura, finalità. Le immagini, in azione e quelle
possibili, sono necessarie e inevitabili tanto per un progetto sociale quanto
per una fantasticheria individuale. La fantasia guarda dentro, in profondità, il che non vuol dire complessità e
originalità. L’immaginazione guarda
fuori, in superficie, il che non vuol dire superficialità
o riproduzione. In generale, l’immaginazione gioca con le immagini; la
fantasia gioca nell’immagine. Da un altro punto di vista: l’immaginazione è
attratta dal significato cioè dal
concetto che veste un segno; la fantasia dal significante cioè dalla forma che denota un concetto. L’immaginazione
e la fantasia non sono per me facoltà distinte (né sinonimi) ma complementari:
entrambe giocano con l’immagine ma lo sguardo che rivolgono all’immagine è
diverso. Azione e possibilità avvengono in veloce successione e non sempre è
possibile identificarle in sequenza: mentre guardo in un’immagine faccio
anche un’azione, e viceversa. Una creazione è sempre un risultato d’insieme, fatto
di azione e possibilità. È difficile dire se avvenga prima l’azione o la
possibilità: da una ricerca sul campo condotta qualche tempo fa verificai che
l’immaginazione, per come sin qui intesa, è la facoltà che viviamo con maggiore
spontaneità ed è quella che pratichiamo per prima perché lo stimolo-immagine si
lega con rapidità alla nostra esperienza-memoria. Invece, sentiamo come più
complessa la ricerca della possibilità perché ci apre a strade a noi
sconosciute o poco esplorate.
Perché secondo te è importante studiare la
fantasia e l’immaginazione?
Perché
conoscerle e praticarle ci riporta a noi, a come siamo, alle nostre azioni e
possibilità. Rispetto al passato, oggi abbiamo della fantasia e dell’immaginazione
una conoscenza più approfondita da un punto di vista tecnico grazie al ricorso a
vari tipi di strumentazioni, come la risonanza magnetica, e a specifici esperimenti
e ricerche sul campo. Ciononostante, qualcosa continua a sfuggirci, il che è un
bene perché ci stimola a fare meglio e a cercare di più ma spesso facciamo dell’approssimazione
la regola. Fantasia
e immaginazione sono più complesse di come impiegate nel linguaggio comune: frequentemente
usate come sinonimi, nonostante le storie etimologiche e sociali delle due
parole; descritte come qualità esclusive dei bambini; molte volte indicate solo
come attività ricreative, di svago e di evasione dal circostante. Eppure c’è
dell’altro, tanto altro e per intuirlo vi invito ad aprire un dizionario di
filosofia alle voci “fantasia” e “immaginazione” per scoprirne aspetti
sconosciuti o provate a chiedere alle persone: «Che cosa pensate della fantasia
e che cosa dell’immaginazione? Per voi sono sinonimi?». La gran parte vi risponderà
che i due termini racchiudono concetti diversi e proporranno motivazioni varie ma
la cosa importante è che sono le stesse persone che fino a poco prima usavano le
due parole come sinonimi e senza badare troppo al significato e al senso (e
sono loro stessi a raccontarvelo!). Quando siamo chiamati a pensare alla
differenza tra fantasia e immaginazione, anche con esempi, emergono sfumature, complessità
di sensi e di significati che ci mettono dinanzi all’evidenza di quanto siamo
approssimativi nel nostro vivere quotidiano. Questo è un aspetto che dimostro con
esempi pratici durante i miei incontri ma il discorso vale per molti altri punti
della nostra vita, non solo per quelli linguistici. Se poi l’approssimazione ci
soddisfa ed è sufficiente al nostro benessere giornaliero e sapere, questo è un
altro discorso. Nell’uso quotidiano, descriviamo la fantasia e l’immaginazione vicine
a un mondo astratto, le valutiamo con vaghezza attribuendo a esse qualità utili
solo a evadere dalla realtà circostante (ma che
cos’è la realtà?), per allontanarci da ogni forma di concretezza, e raramente guardiamo
a esse come a facoltà della mente che formano e condizionano ogni singolo aspetto del nostro modo di
pensare, di sentire, di vivere, di concepire e costruire (o distruggere!) il
mondo in cui viviamo. Tutti abbiamo fantasia, immaginazione, creatività. In
forme diverse ma le diversità sono da intendersi come unicità: siamo diversi
perché unici. Noi decidiamo come giocare con l’immagine, su che cosa
concentrarci, se giocare più con l’azione e meno con il possibile, se fare solo
poche relazioni o addentrarci a lungo in una o più immagini. Immaginazione e
fantasia: l’una non esiste senza l’altra. Entrambe alimentano la conoscenza e
la curiosità, ci permettono di creare cose nuove o di ri-creare percorsi già
noti. A tal proposito: il nostro atteggiamento è spesso accomodante (parassitario,
in molti casi) ed è molto più semplice ricevere/usare le azioni e le
possibilità che arrivano dagli altri anziché ricercare il nostro sguardo e
metterci in gioco. Fantasia, immaginazione, creatività ci dicono chi siamo e come
siamo: compongono il mondo in cui viviamo, quello concreto e quello astratto,
quello pubblico e quello privato. Dell’immaginazione e della fantasia, ne
studio e ricerco le storie e le caratteristiche e ne divulgo gli aspetti in
performance interattive a scuola, università e a tutti i livelli sociali.
Performance
interattive?
Sì, le persone che partecipano ai
miei incontri non ascoltano monologhi ma intervengono attivamente ai temi che
espongo e che di volta in volta nascono dalla discussione, che spesso dura anche
diverse ore. È durante l’interazione che accolgo e propongo esercizi,
riflessioni, critiche, riferimenti bibliografici, dimostrazioni pratiche - che
coinvolgono anche il corpo -, dati provenienti da ricerche su fantasia e
immaginazione. È con l’interazione che si rafforzano la curiosità e la
conoscenza. Agli incontri fantasiologici ci si confronta insieme. Performance vuol dire realizzazione di
un evento che implica una forma di imprevedibilità, data dalla reazione delle
persone e dal fatto che seguo un canovaccio. Non so mai bene quali sembianze
assumerà l’incontro, che dipende in tutto dai partecipanti - e tra i
partecipanti ci sono anch’io. Interattivo
vuol dire stimolare al massimo con attività il coinvolgimento di chi partecipa
alla performance. Qual è il mio scopo? Alimentare il dubbio, nel senso del
verso dantesco «non men che saver, dubbiar m’aggrata» (Inferno XI, 93). M’impegno molto affinché le persone
tornino a casa e sui luoghi di lavoro con più dubbi possibili perché il dubbio
è sempre positivo: implica domande, incoraggia discussioni, tende a ricercare risposte,
le quali aprono a nuovi dubbi. Il dubbio è per me una certezza: fonte primaria
della curiosità, privilegio della conoscenza. Il dubbio di cui parlo è quello
che nasce da un’analisi dati, che viene fuori da dimostrazioni pratiche, da
esercizi, riflessioni, silenzi.
Qual è il ruolo del fantasiologo?
Io non insegno “fantasia e immaginazione”,
né insegno come diventare creativi. Io educo
alla fantasia, all’immaginazione, alla creatività. Nel senso etimologico di educare: conduco fuori quello che è già
dentro in ognuno, non con una regola (metodo) data una volta per tutte ma con uno
sguardo che si riflette con il luogo in cui siamo, con chi siamo in un dato
momento, con il nostro progetto di vita o di lavoro…attraverso il gioco viene
fuori quello che siamo. Da fantasiologo, provo a far sguardare le persone, con attenzione e interesse, con tutti i sensi
e in tutti i sensi. Sguardare è
parola rafforzata, forma poetica antica per guardare.
E la bici? Quanto è
fantasiologica per te?
Negli ultimi tempi riesco ad
andare poco in bicicletta ma per me resta un mezzo fantasiologico davvero speciale
perché penso in un altro modo quando sono in sella. In bici ho un
coinvolgimento sensoriale esclusivo con me stesso.
Un esempio di azione e possibilità con la bicicletta?
Mi viene da pensare a un esempio
di tipo linguistico-visivo, certamente non l’unico praticabile. In questo caso,
il mio approccio è di tipo linguistico e penso alla parola “bicicletta” che si
lega in me a immagini (azioni) precise e sensate perché vedo la mia bicicletta…
poi la persona incontrata tempo fa durante l’ultima pedalata… poi a quando forai,
a quella volta che pioveva… a quando m’inseguiva un cane…. La mia immaginazione
passa da un’immagine all’altra, in maniera logica, una logica soggettiva. La
mia immaginazione con la parola “bicicletta”, in questo momento, non mi
stupisce perché si compone di azioni che definirei normali - ho cercato di appuntare
le immagini per come accadevano nella mia mente. A rileggerle non trovo nulla
di straordinario ma se avessi continuato, forse sarei arrivato a qualche
relazione bizzarra e stimolante. Vediamo che cosa accade con la fantasia. Resto
nella dimensione linguistica e mi chiedo che cosa mi fa venire in mente la
parola “bicicletta” non come significato ma come significante (questa non è
l’unica via per sondare il possibile!), osservo dunque le lettere di cui si
compone la parola. Inizio a disegnare, faccio vari tentativi di ricerca figurativa
usando solo le lettere di “bicicletta”. Dopo varie prove…ecco, posso affermare
che per me la “bicicletta” è tutte le cose dette prima ma anche una persona con un ciuffo alla Elvis Presley che saluta da dietro la finestra. Per quanto appena dichiarato,
penso alle vostre reazioni e mi appunto le seguenti opzioni: a) mi credete
sulla parola b) mi guardate con sospetto quando dico che per me la “bicicletta”
è una persona con un ciuffo alla
Elvis che saluta da dietro la finestra, non
scherzo! c) mi guardate con sospetto quando dico che per me la parola “bicicletta”
è anche una persona con un ciuffo
alla Elvis che saluta da dietro la finestra, non scherzo! d) mi credete con
riserva, cioè almeno fino a quando non vi dimostro quanto detto, una dimostrazione soddisfacente per entrambe
le parti. I punti c) e d) sono quelli che preferisco. Anche e dimostrazione
sono le parole chiave del mio lavoro. Nell’esempio ho ideato una dimostrazione
visiva che al momento è soddisfacente solo per me perché non posso confrontarmi
con un’altra persona ma unicamente con quanto realizzato. Il disegno creato è un
gioco fantasiologico che chiamo “ortinto segno”. Quello in figura è il tipo
alla Elvis, fatto di sole lettere della parola “bicicletta”. Questa immagine è
il mio potenziale (non l’unico!) che risiede nella parola “bicicletta”. Sulle
quattro opzioni prima indicate ci sarebbero molte cose da dire perché in esse rientrano
temi come il senso comune, la creatività, la follia, l’immaginario collettivo, la
cultura di appartenenza, il pregiudizio. N.B. Un altro esempio linguistico-visivo
di fantasia è anche disegnare con le lettere della parola “bicicletta” proprio una
bicicletta ma questo è un esercizio fantasiologico che lascio a voi.
Quale motivazione
ti ha spinto ad accettare l’incarico di giurato per Il Bicicletterario 2016?
La curiosità di leggere la vita delle persone in
relazione alla bicicletta.
Sappiamo della tua
passione per gli anagrammi (in ambito enigmistico il tuo pseudonimo è Algernon). Ci regali un anagramma sulla
bici per salutare i partecipanti e lettori?
Vi rivolgo una domanda, in forma
d’anagramma: «MA VOI DE IL BICICLETTERARIO
= …VEDIAMO… ABOLIRETE TRICICLI?»
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